A cura di Matteo Marcon
Il discorso del salario minimo si inserisce in un contesto reale che è fortemente mutato rispetto al decennio precedente, a seguito di due eventi “chiave” per quanto riguarda il tema del Lavoro: l’introduzione del Reddito di Cittadinanza e la Pandemia da COVID-19.
Entrambi questi fattori hanno indubbiamente mutato la percezione dei lavoratori italiani: se il primo ha di fatto sdoganato la possibilità di ricevere, seppur a determinate condizioni, un sussidio senza prestare alcuna attività lavorativa, il secondo, oltre all’impatto devastante sulla perdita di posti di lavoro, ha consentito alle persone di ritrovare un ritmo e una quotidianità diversi, più domestici e familiari rispetto alla vita “frenetica” vissuta prima della Pandemia.

In tale contesto le forze politiche di centrosinistra hanno trovato terreno fertile per avanzare diverse proposte atte a introdurre un Salario Minimo, una misura già presente in tutti i Paesi Europei a eccezione di Italia, Svezia, Finlandia, Danimarca e Austria. A primo impatto l’iniziativa risulta sicuramente di gradevole effetto sonoro: chi infatti non sarebbe d’accordo nel garantire ai Lavoratori una retribuzione minima che ne tuteli la dignità, in linea con l’Art. 36 della Costituzione? Ciononostante, è opportuno ravvisare alcune criticità che se non affrontate a dovere possono portare all’approvazione di una misura poco equa e dispendiosa, con effetti positivi assai limitati:
Costo del lavoro
Come ben si sa, il Costo del Lavoro in italia è molto elevato e un ulteriore suo incremento disposto per Legge graverebbe esclusivamente su quelle Imprese già provate dalle difficoltà fronteggiate negli ultimi anni, dapprima con chiusure imposte in maniera cervellotica e ristori insufficienti a coprire sia i mancati ricavi sia i costi fissi e in seguito con le bollette spaventose del 2022; d’altro canto risulta evidente come lo Stato non possa assumersi l’onere di una misura di questo genere, a causa del debito pubblico elevato e di una congiuntura economica che non consentono grossi margini di manovra dal punto di vista economico-finanziario.

Sovrapposizione con la contrattazione collettiva
In Italia, com’è noto, vige un sistema molto articolato di Contratti Collettivi Nazionali che ormai racchiude diversi settori (Commercio, Metalmeccanici, Cooperative Sociali, etc.). Imporre una retribuzione minima vorrebbe dire assicurarsi che questa non possa essere in alcun caso inferiore al minimo tabellare riportato nei CCNL già sottoscritti e in corso di validità. A onor del vero bisogna evidenziare come il DdL Cataldo, presentato dall’omonima Senatrice del M5S, preveda già una retribuzione minima “non inferiore al Contratto Collettivo Nazionale previsto per il settore di riferimento, o comunque non inferiore ai 9.00 €/h”.
Disuguaglianze Territoriali
In un paese come l’Italia, caratterizzato da un oggettivo e profondo disequilibrio territoriale tra Nord e Sud, in caso di introduzione di una normativa sul Salario Minimo, è indispensabile tenere conto delle differenze rispetto al costo della vita, molto più alto nelle grandi città del Nord rispetto alle Province del Mezzogiorno; la definizione di un Salario Minimo non adeguato rischierebbe di risolvere i problemi dei lavoratori di metà paese, abbandonando coloro i quali al Nord lavorano in quei settori non tutelati da un Contratto Collettivo Nazionale.

E quindi?
Alla luce di ciò, cosa si può concludere sul Salario Minimo? Sicuramente si tratta di una misura con un significato logico molto valido, riconosciuto anche dalla Direttiva UE dell’11/11/2021, con la quale l’Europa impegna gli Stati che ancora non adottano tale misura a una riflessione sul tema, tuttavia, per garantire un’efficace applicazione al contesto italiano, occorre ragionare preventivamente sulle criticità e sulle fragilità di un Mercato del Lavoro ancora molto rigido, al fine di dotarsi di una misura veramente equa e rivoluzionaria e non dell’ennesima marchetta elettorale dei partiti politici.
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